Esci dalle tue illusioni
Oggi vi voglio raccontare una storia che ho scritto sul mio ultimo libro: Perché succede tutto a me? per riflettere su un argomento che ho sempre ritenuto molto importante nella mia vita: l’atteggiamento mentale. Il primo paragrafo del libro si intitola proprio: esci dalle tue illusioni. Vediamo cosa contiene.
Iniziamo.
E’ una bella mattina di giugno, suona la sveglia e Silvia allunga una mano per spegnerla.
Tristemente apre un occhio per sincerarsi dell’ora e poi sbuffando pensa: “Oh no! Già sono le sette”.
Non ha chiuso occhio tutta la notte, l’ansia per l’esame di neurofisiologia la stava divorando già da una settimana.
Le parole che ormai da troppi giorni occupano la sua mente sono: “stavolta non devo prendere un brutto voto.
Stavolta non devo fare scena muta come è successo l’ultima volta.
Stavolta non mi farò prendere dall’ansia”.
Silvia ha studiato veramente molto, si sente preparata quindi, scende dal letto e si organizza per andare in facoltà.
Durante il tragitto si riempie la testa di buoni propositi: “questa volta non finirà come l’ultima volta, questa volta sono preparata e non posso fare una brutta figura”, ma si rende conto che il suo corpo le sta comunicando tutt’altro.
Se fosse veramente sicura, perché le mani sono fredde e sudate?
Cosa è quella tachicardia che le opprime il petto?
Perché quel senso di nausea?
Silvia è ormai arrivata in facoltà, il senso di nausea è chiaramente aumentato e ora è convinta di avere anche qualche linea febbre, però è quasi il suo turno e allora aspetta e mentalmente inizia a ripassare qualche nozione di neurofisiologia.
Gli argomenti li ricorda abbastanza bene, ma il pensiero ricorre più volte all’ultima volta che ha sostenuto quell’esame.
Ora ricorda bene, era proprio la stessa aula, quella di un mese fa dove per lo stesso esame non è riuscita proprio ad aprir bocca quando il professore le fece una domanda sul sistema limbico.
E’ il suo turno.
Barcollando e leggermente disorientata si siede.
Arriva la prima domanda: “Signorina, iniziamo con una domanda facile. Ci parli del sistema limbico…”.
Silvia non credeva alle sue orecchie, una domanda facile, la stessa dell’altra volta, ma ora è tutto diverso, stavolta quel maledetto sistema limbico lo conosce a menadito.
Prova a parlare. Niente.
Apre la bocca, ma quasi ne fosse stupita non esce alcun suono.
Subito le viene chiesto se si sente bene, anche perché il suo improvviso pallore non faceva presagire nulla di buono.
Silvia, non rispose. Prese la sua borsa e uscì di corsa dall’aula.
Proviamo a cambiare prospettiva
E’ una bella mattina di giugno, suona la sveglia e Marco allunga una mano per spegnerla.
Una bella stirata e scende sorridendo dal letto.
Una bella dormita; ci voleva dopo giorni di studio intenso.
Con impazienza si prepara ad andare in facoltà per l’esame di neurofisiologia che lo attende.
Ha letto i libri che occorreva leggere, certo che altri due o tre giorni per un ripasso potevano far comodo, ma ormai non c’è più tempo.
Ultimamente Marco ha superato bene gli esami e anche stavolta si sente fiducioso, nonostante tutto.
Ripensa all’ultimo esame quando con passo sicuro si è diretto verso la sedia, e ha parlato in modo calmo e disinvolto.
Nella sua mente aleggiano pensieri del tipo: “Mi sta andando molto bene in questo periodo, sono certo che continuerà cosi”, “sto facendo del mio meglio”, “Dopo tanti successi, anche se andrà male una volta non sarà poi così grave”.
Ricorda bene l’ultimo esame, mentre parlava guardava in viso il professore e anche i suoi collaboratori, anzi, ora che mette bene a fuoco i suoi ricordi gli torna in mente anche quella bella penna che girava tra le mani quel giorno. Ma dove era mai finita? Ah eccola!
Allunga una mano e la prende pensando “Chissà che non mi porti fortuna un’altra volta”.
Prima di uscire passa davanti lo specchio e si guarda.
La sua postura è dritta, il petto leggermente in fuori, fece un bel respiro e uscì con passo deciso.
Si fermò a prendere un caffè e entrò in aula.
E’ il suo turno, si siede comodamente sulla sedia e alla prima domanda che gli viene rivolta, risponde in modo calmo e sicuro.
Ti sei mai trovato in situazioni del genere?
Forse non all’università!
Forse ti sono accadute durante un colloquio di lavoro?
O quando ti è successo di parlare ad una piccola riunione di persone?
Ti piacerebbe sapere perché accadono cose negative come quelle successe a Silvia e quale è l’antidoto.
Bene, iniziamo subito.
Ti chiedi mai quale è la persona con la quale parliamo di più in assoluto, tutti i giorni della nostra vita?
Esatto! Noi stessi.
Il nostro dialogo interiore è fatto di pensieri che a loro volta suscitano immagini ed emozioni.
Le immagini possono generare pensieri positivi, rilassanti o anche ansie, preoccupazioni.
La conversazione negativa influisce sulle circostanze, rendendole ostili. Esci da queste illusioni.
Le parole che pronunci con convinzione emotiva diventano la vita che vivi, il paradiso oppure il tuo inferno
(Anthony Robbins)
La comunicazione verso gli altri è importante, ma la comunicazione verso noi stessi lo è ancora di più.
Nell’esempio di Silvia, abbiamo notato che ha usato la parola “non” nei suoi pensieri, ma in un modo particolare:
– Questa volta non finirà come l’ultima volta
– Questa volta sono preparata e non posso fare una brutta figura
– Stavolta non devo prendere un brutto voto.
– Stavolta non devo fare scena muta come è successo l’ultima volta
– Stavolta non mi farò prendere dall’ansia
Sai perché la comunicazione che usa non può essere persuasiva per il suo inconscio?
Per il semplice fatto che la nostra mente non conosce il significato della parola “non…”, e te lo dimostro subito: prova a NON pensare, mi raccomando NON pensare ad una gatto che miagola, oppure NON pensare ad un cane che scodinzola.
Cosa è accaduto?
Sono certo che alla tua mente è arrivata l’immagine di un gatto e poi quella di un cane.
Allo stesso modo, quali immagini credi siano arrivate a Silvia quando ha usato quelle parole?
Stesso discorso lo troviamo nella vendita, infatti i venditori sanno che tra i peggiori modi di cominciare un discorso ci sono le parole denominate a “valenza negativa”.
Quali sono?
Di certo tutte quelle parole che fanno iniziare male la comunicazione, del tipo:
- Le rubo soltanto un minuto: la parola “rubo” fa arrivare al cervello l’immagine di una persona che fa perdere tempo, e solo chi non è importante fa perdere del tempo. Un cliente che ascolta queste parole, anche se inconsapevolmente, ne avverte la suggestione negativa.
- Non vorrei disturbare: anche qui il venditore evoca il senso di disturbo che vorrebbe evitare.
- Disturbo?
- Non l’annoierò: anche in questo caso la frase richiama nella mente del cliente che ascolta, uno stato emotivo di noia.
- Non vorrei che pensasse che io sia qui per farle acquistare qualcosa
È bene quindi usare parole positive, che facciano affiorare solo emozioni gradevoli. Sono illusioni? Certo, cosi come lo erano quelle negative.
I pensieri evocano parole, che a loro volta sono cariche emotivamente.
Faccio un esempio: se dico ad una persona «Non credo ce la fai ad arrivare in orario» o le dico «Non sei una persona puntuale», esprimo lo stesso concetto, ma da un punto di vista emozionale diverso.
Possiamo allora dire che siamo noi stessi che ci diamo dei limiti, molte volte non abbiamo successo nel fare le cose semplicemente perché immaginiamo di non farcela ancora prima di provare e più abbiamo questa paura e più è possibile che avvenga quanto temiamo.
Tutto questo si verifica perché alla nostra mente non piace contraddirsi, ma gli piace dire: “lo sapevo, è come dicevo io”.
Proseguendo su questa linea di pensiero non facciamo altro che avverare una profezia: quella che conferma le nostre sensazioni iniziali.
Tutto questo diventa un circolo vizioso e per spezzarlo è necessario cambiare atteggiamento mentale, mettersi in discussione e ampliare le nostre vedute.
Cambiare idea significa mettere in campo energie che al momento è possibile non avere, vuol dire per il nostro cervello un lavoro supplementare, e lavorare oltre il dovuto non piace a nessuno, tanto meno al nostro cervello.
E’ un lavoro che la mente si rifiuta di fare perché molto spesso un nostro punto di vista è legato ad una credenza, che, se messa in discussione, può voler dire intaccare un aspetto della nostra identità.
Nel secolo scorso l’ipnoterapista E. Couè fu uno dei primi a studiare il fenomeno della suggestione.
Couè formulò varie teorie sull’argomento la più famosa è nota con il nome “legge del risultato inverso” (L. LeCron, 1967), secondo la quale, se desideriamo fare qualcosa che non possiamo realizzare a causa di pensieri negativi che affollano la nostra mente, più cercheremo di compierla, meno ci riusciremo.
Faccio un esempio: se un individuo affetto da insonnia prova a dormire pensando una suggestione negativa del tipo: “Chissà se anche oggi non riuscirò a dormire”, sicuramente più si sforzerà di dormire, più non ci riuscirà.
Altra teoria fondamentale è quella denominata: “legge dello sforzo dominante”.
Secondo questa teoria, quando abbiamo un’idea con una intensa valenza positiva, questa tenderà sempre a realizzarsi.
Certo sono solo credenze, ma visto che si tratta di credenze che si aggirano nella nostra mente possiamo anche scegliere quali adottare (Pandiscia, 2009).
Se possiamo farlo allora, perché non scegliamo le credenze che ci potenziano, che ci danno gioia, positività, energia?
Ricordiamoci che ogni qualvolta l’immagine che abbiamo di noi stessi e la realtà, non corrispondono, la comunicazione interpersonale ne risentirà, così come il nostro senso di autostima.
In PNL definiamo “credenze potenzianti” quelle che ci forniscono un supporto come ad esempio: «Sono sempre ottimista sul lavoro», «Mi piaccio così come sono», «Mi sento abile in ogni cosa che faccio»), e “credenze limitanti” quelle che arrecano un danno (ad esempio: «Mi ammalo sempre», «I soldi sono sempre sporchi», «Sono troppo vecchio per imparare», «Non mi sento una persona ok»).
Le credenze sono il risultato delle nostre esperienze di vita e sono come delle profezie destinate ad avverarsi, infatti se siamo convinti di essere persone simpatiche: agiremo di conseguenza, accostandoci agli altri con disinvoltura, sempre socievoli e felici.
Gli altri di conseguenza ci mostreranno calore e simpatia, continuando a rinforzare la nostra credenza di essere persone simpatiche.
Ciò che crediamo determina come agiamo e tale comportamento determina i risultati che otteniamo, i quali condizioneranno ulteriormente le nostre convinzioni.
Che tu creda di farcela o di non farcela, avrai comunque ragione - H. Ford Share on X
Le credenze limitanti generano delle suggestioni negative, sia quando sono applicate ad un tipo di comunicazione esterna – cioè in relazione con gli altri – sia interna con noi stessi.
In quest’ultimo caso possono essere veramente distruttive.
Abbiamo notato nell’esempio di prima che i pensieri di Silvia evocavano le tipiche immagini di paura di parlare in pubblico.
E’ dimostrato che le persone caratterizzate da questo tipo di paure prima di iniziare un discorso, si ripetono mentalmente le stesse frasi di Silvia: “non mi devo emozionare”, “non devo andare nel pallone”, ecc.
Non bisogna biasimarle dopotutto le intenzioni sono buone, infatti si concentrano per fare una bella figura, ma la loro mente è condizionata negativamente.
Quindi cosa succede quando parleranno in pubblico?
Si realizzerà quello che la mente ha fino a quell’istante vissuto, cioè il cervello ha immaginato più di una volta la scena negativa e quella andrà ad eseguire (Pandiscia, 2009).
Diversa cosa troviamo nell’esempio di Marco, il quale aveva nella mente pensieri del tipo:
– Mi sta andando molto bene in questo periodo
– Sono certo che continuerà cosi
– Sto facendo del mio meglio
– Dopo tanti successi, anche se andrà male una volta non sarà poi così grave
Inoltre i suoi ricordi andavano spesso al precedente esame passato senza problemi.
I suoi ricordi si focalizzavano sempre di più man mano che andava a ricordare la passata esperienza: la penna che aveva in mano, il fatto di guardare i docenti in viso, ecc.
Rispetto a quanto succedeva nella mente di Silvia, qui l’informazione ricevuta dal cervello è diversa.
Questo non implica il fatto che Marco passi con certezza l’esame, ma aumenterà le probabilità che parli in modo tranquillo e rilassato, perché il cervello ama ripetere quello che già conosce.
Il nostro cervello si nutre di immagini, le immagini sono evocate dalle parole che ci diciamo e sono queste che condizioneranno il nostro atteggiamento mentale.
Stessa cosa la ritroviamo in altri campi, ad esempio nella vendita.
Prendiamo in esame un venditore: se vuole fare bene il suo lavoro deve necessariamente curare il suo atteggiamento mentale, perché è il suo strumento di vendita per eccellenza.
Non è il prezzo o l’utilità del prodotto che determina il fatto che sia acquistato da un ipotetico cliente, ma è l’entusiasmo che il venditore stesso mette nella vendita che trasformerà quel prodotto in vendita.
Passiamo poi alla fisiologia.
Cosa urlava il corpo a Silvia?
Che postura aveva Marco quando si è specchiato?
La fisiologia è determinante, prova a pensare ad una persona triste, depressa.
Com’è la sua postura?
E la sua respirazione?
Prova ad assumere tale posizione e noterai che poco alla volta sorgeranno in te emozioni e sentimenti tipici di chi è depresso.
Allo stesso modo cerca di assumere la postura, respirazione e la fisiologia di chi è euforico e nota cosa accade.
Sono certo che scoppierai a ridere se proverai a: saltare, battere le mani con un bel sorriso e urlare allo stesso tempo: “Sono tristissimo!”.
Lo puoi dire quante volte vuoi, ma la fisiologia che assumi non ti permetterà mai di sperimentare stati di tristezza.
Questo accade perché per essere realmente in uno stato emotivo, dobbiamo avere congruenza comunicativa a vari livelli, cioè bisogna che le parole che diciamo (Verbale) siano coerenti con il nostro tono, ritmo, volume e timbro di voce (Para verbale).
Allo stesso tempo però, sia il verbale che il para verbale devono esser coerenti con la nostra fisiologia (linguaggio del corpo).
E’ interessante notare questa sorta di feedback di ritorno tra il corpo e la nostra mente.
Quando attiviamo dei muscoli per formare un’espressione, attiviamo (o facilitiamo) anche uno stato emotivo.
Se vuoi una vita di successo inizia a cambiare il tuo atteggiamento, allena la tua mente con immagini positive ed entusiasmanti, crea delle credenze potenzianti, trova conferma di ciò in ogni cosa e la tua fisiologia si adeguerà di conseguenza.
Per approfondimenti
Perchè Succede Tutto a Me?
Come diventare artefici del proprio destino con la PNL
Una preziosa guida per imparare a vivere al meglio (e con un po’ di autoironia) la propria vita. Il volume ci insegna, in modo pratico ed efficace, a uscire dalle trappole mentali chefacilmente ci costruiamo e a diventare davvero artefici del nostro destino.
Alcune persone sono convinte che in qualche modo tutto sia già scritto e determinato. Altre credono di essere gli artefici del proprio destino. Altre ancora si trovano a metà strada: pensano che ci siano situazioni che si possono governare ed altre che sono state già scritte. C’è chi crede che non si possa fare nulla per cambiare le cose e chi crede che solo le piccole cose siano controllabili, ma che gli avvenimenti storici, politici o eventi importanti, siano comunque già scritti.
Una cosa è certa: nulla accade davvero “per caso”. La vita somiglia ad una partita a carte: ci sono giocatori che hanno talmente tante fiches nel portafoglio che, pur giocando male, cadranno comunque in piedi, e ci sono giocatori che sono bravi ma non possono permettersi il lusso di rischiare. L’unica possibilità che possiamo avere, a prescindere che giochiamo male o bene, è continuare a giocare. E quindi a vivere.
Questo libro vi insegnerà, in modo pratico ed efficace, ad uscire da trappole mentali che voi stessi vi siete costruiti e a diventare davvero artefici del vostro destino. Il mondo non possiamo certamente cambiarlo, ma possiamo cambiare la lente attraverso cui lo guardiamo. Con questo libro, imparerete ad utilizzare al meglio queste “lenti” che avete a vostra disposizione, per vivere al meglio, anche con un po’ di autoironia, la vostra vita.