Voglio fare il coach. Quale è la normativa?

Voglio fare il coach

Questo articolo lo avevo in qualche modo già pubblicato qualche mese fa sul mio sito aziendale formaementis, ma viste le telefonate delle ultime settimane di persone che ancora non hanno ben capito quale è la normativa vigente a riguardo, ho ritenuto importante postarlo anche sul mio blog personale per portare un pò di chiarezza (se possiamo definirla cosi) sull’argomento.

La formazione ormai lo sappiamo, segue la moda del momento.

Negli anni ‘80 la PNL era richiesta come il pane e fiorivano corsi di questo tipo un po’ dappertutto, oggi la febbre da PNL si è un po’ attenuata.

Da pochi anni è invece scattata la mania del linguaggio del corpo, grazie a film come Lie to me e The Mentalist, abbiamo visto riempire le aule di persone alla ricerca del significato di quel singolo gesto per smascherare i bugiardi e truffatori.

Oggi stanno fiorendo nuove mode (non è che in passato non ce ne siano state, ma dal 2013 la domanda ho notato sta salendo) come il coaching e il counselor che si prefiggono il benessere psicologico del cliente.

Occupandomi di formazione ricevo almeno una o due telefonate a settimana di persone che vogliono diventare coach o counselor (a volte confondono questi due termini, non sapendo che indicano due figure professionali distinte), e dalle domande che ricevo ho capito solo una cosa: nessuno ha chiaro in testa cosa deve fare.

Ovvio che se non sai con precisione dove stai andando, molto probabilmente andrai da qualche parte, ma di certo non verso la mèta che ti sei prefissato, quindi ho voluto scrivere questo post per far capire meglio la realtà di queste figure professionali.

Voglio fare il coach. Quale è la normativa?

La figura del coach e del counselor oggi in Italia è qualcosa di estremamente controverso.

Lo sa bene la sig.ra indicata con le iniziali C.G. come si legge nel sito dell’ordine degli psicologi della Lombardia.

La Corte d’Appello di Milano ha infatti confermato la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio del  14.4.2014 con la quale l’imputata C. G.,counselor iscritta presso Assocounseiling e alla FAIP, è stata condannata per il reato di cui all’art. 348 c.p. per aver esercitato senza autorizzazione la professione di psicologo.

E’ stata anche confermata  la condanna al risarcimento per EUR 5000 in favore dell’ordine degli psicologi della Lombardia, che si è costituito parte civile nel processo, in favore del quale sono state anche liquidate le spese per l’ulteriore grado di giudizio.

A volte giova ricordare, per non far trovare le persone in queste gravose situazioni, che il counseling psicologico è un’attività propria dello psicologo.

Purtroppo la nostra realtà sembra esser diversa, non è un caso infatti che pullulano in Italia molte associazioni che si sono organizzate per fare corsi  denominati “corsi di coaching ” o anche “corsi di counseling” anche a chi non è psicologo, né ha mai studiato psicologia. Dandosi nomi pomposi quali “master, “School”, o “university”, seguiti dalla denominazione  “certificazione riconosciuta” (da chi però, non viene quasi mai detto).

In altre parole, in queste associazioni le iscrizioni sono  aperte a tutti, basta pagare.
Non serve quindi nessuna preparazione specifica.

Ovvio che, negli ultimi anni  i compensi di queste associazioni sono volati alle stelle, perché la psicologia è bella, ma se serve una laurea,  per alcuni significa troppo sacrificio e rinunciano a questo percorso, però se basta pagare per ottenere un certificato, con il quale far credere di operare in questo campo, le cose cambiano.

E si, perché basta pagare per ricevere un attestato (senza validità giuridica) per far credere di esercitare liberamente un’attività di aiuto psicologico.

E l’ordine degli psicologi che fa?

In molti ce lo siamo chiesto, ma nessuno ha mai visto una reazione.

Inaspettatamente invece, ora quella piccola reazione c’è stata.

In realtà l’ordine degli psicologi ha sempre criticato queste associazioni e ovviamente queste critiche hanno allarmato e non poco i membri di queste centinaia di associazioni, che temendo una diminuzione delle iscrizioni, hanno intrapreso una sorta di crociata contro gli psicologi, sostenendo che esistesse una “professione diversa” da quella dello psicologo, cercando in tutti i modi di proteggere i  proventi delle loro iscrizioni.

Hanno quindi inventato “corsi”, “seminari”,  “webinar” ecc che durano anche 3 anni, ma con incontri sporadici in 1 o 2 fine settimana al mese con attestati finali che non hanno nessuna validità giuridica, ma possono arrivare a costare anche migliaia di euro.

Ovvio che la parola “psicologo” non è presente nei loro attestati e la parola “psicopatologia” non è presente in nessun contratto, è bastato sostituirla con “benessere psicologico” per non incorrere in sanzioni giuridiche e penali.

 

La verità quale è?

Semplice!

Lo psicologo si occupa già di benessere psicologico, e spetta a lui questo ruolo. Punto!

Lo psicologo può diagnosticare se un paziente è affetto o no da una psicopatologia, persone che fanno seminari sparsi in vari week-end per 1 o 3 anni non ci possono riuscire, nè sono autorizzati dalla legge italiana a farlo.

Cosa c’è di triste in tutta questa storia?

Che a tutti gli iscritti  di queste associazioni o pseudo-scuole, tali cose non vengono dette, ma viene lasciato intendere che con  l’attestato di frequenza  rilasciato (il quale vale giuridicamente quanto quello dell’associazione sportiva che hai sotto casa) si può addirittura trovare lavoro e aiutare gli altri a ritrovare l’armonia psicologica.

Chi fa selezione del personale invece conosce bene queste realtà, e se un giorno dobbiamo candidarci per un lavoro, anche se siamo in possesso di 100 certificati di questi tipo, di certo verremo scartati in favore di altri che ne hanno uno solo (quello di laurea).

Molti hanno pensato che si può impugnare la LEGGE 4/13 sulle professioni non regolamentate (basta fare un giro su internet su ciò che riguarda il coaching)  per arginare la questione giuridica sollevata intorno a questa situazione, in che modo?

Cercando di far intendere che basti un’iscrizione ad un’associazione per poter esercitare l’attività di coaching.

Ed ecco allora che centinaia di coach professionisti con l’arrivo della legge 4/13 corrono ad iscriversi ad associazioni di categoria per poter esser meglio tutelati.
Altro giro di soldi, altra corsa.

Ancora una volta la confusione regna sovrana, ma basta poco per far chiarezza, infatti vale la pena ricordare in questo caso una cosa fondamentale, cioè: “per i Coach professionisti NON E’ PREVISTO ALCUN OBBLIGO DI ISCRIZIONE AD ALCUNA  ASSOCIAZIONE, PER ESERCITARE IL COACHING.

L’obiettivo della legge NON E’ quello di istituire dei registri che indicano chi può esercitare il coaching in Italia e chi no, questa è una cosa che viene espletata semmai da Albi professionali delle professioni ordinistiche.

Anzi, è stata introdotta per aiutare i clienti per avere più informazioni sui professionisti,  non per tutelare i coach, i counselor, ne tantomeno le associazioni stesse.

Ma esiste una normativa tecnica UNI in proposito?

Una cosa è certa.

Esistono troppe interpretazioni e messaggi confusionari emanati da associazioni che fanno business vendendo certificazioni e corsi di formazione propedeutici, ma non esiste ad oggi, neanche la norma tecnica UNI sul coaching.
Quindi, visto che una eventuale certificazione delle associazioni deve avvenire sotto accreditamento Accredia e la Norma Tecnica UNI sul coaching non c’è ancora, ad oggi possiamo concludere che non esiste nessun organismo di certificazione accreditato sul coaching né potrà esserlo fino a quando non esisterà la norma, e sapendo come vanno le leggi in Italia, credo dovremo aspettare non poco.

Finiamo con il chiarire allora chi è il coach? Chi è il counselor?

Il coach, cosi come il counselor, in Italia rientra tra le professioni non regolamentate: lo Stato non indica cioè i requisiti minimi necessari per fare il Coach.

Non esiste quindi alcuna normativa di riferimento, nessun percorso formativo obbligatorio, né tanto meno l’obbligo per il professionista di iscrizione ad un albo professionale.

In tale quadro normativo, la barzelletta finale di tutto questo discorso è che: “chiunque può definirsi coach” .

Quale è lo scopo professionale di tali figure?

Quello di sviluppare talenti, fare emergere a pieno le potenzialità degli individui a vantaggio di una competenza da sviluppare o di un risultato da migliorare.

Lavorare con persone sane, guidare il cliente a sviluppare i propri talenti in vista del raggiungimento di specifici obiettivi, e lo deve fare nel modo il più possibile rapido ed efficace.

Buon lavoro a tutti!

Alcune fonti utili per approfondire:

http://www.opl.it/

http://www.nonsolofreud.it/

http://www.psychiatryonline.it/node/4603

http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2013/01/26/13G00021/sg

 

 

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