L’abito fa il monaco?

L’abito fa il monaco?

Come diceva Manuel Fantoni nel film Borotalco, “l’abito fa il monaco!”.
Aveva ragione?
Anche se ci spiace ammetterlo, la risposta è sì!

Ci sono montagne di ricerche su questo fatto, e tutte concordano che valutiamo gli altri dalla prima impressione.

Questa cosa può sembrare (e per un certo verso lo è) superficiale, ma immaginate ancora una volta di vivere in una landa desolata e pericolosa, dove le risorse sono scarse e si lotta per ottenerle.

Si avvicina qualcuno, e da quel che farai dipenderà la tua e la sua vita: ti interessa davvero sapere se è una persona simpatica ma dall’aspetto scorbutico?
Se sotto sotto sia un tenerone?
No: ti basi su quel che vedi.

È armato, con un’espressione feroce e cammina impettito, quindi la tua reazione è immediata, e sarà di fuggire se è più grosso e minaccioso di te, e di combattere per difendere il tuo spazio se al contrario è più piccolo e indifeso.

La nostra specie si è evoluta così, e non ha cambiato granché da allora. Ciò significa che, sotto quei capelli ben curati, la camicia stirata e il portafogli pieno, si cela sempre un cavernicolo.

Ecco la controprova di quel che diciamo: ti è mai capitato di giudicare qualcuno “a pelle”?
Di provare per istinto simpatia o ribrezzo per qualcuno?
Ecco, quello che è successo in quei brevi attimi è la dimostrazione del giudizio istantaneo.

Per fortuna, sapendolo, possiamo influenzare questo giudizio in modo positivo.
Considera che ciò che più conta, che si tratti di un rapporto a breve termine, come ad una conferenza, o a lungo termine, come un nuovo collega, è la presentazione.

 

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Proprio così: nei pochi secondi necessari a dire chi sei a qualcuno, hai già giocato le tue carte!

Certo, con il passar del tempo questa “prima impressione” può subire variazioni ottenendo o meno delle conferme, ma che importanza ricopre in una comunicazione?

È provato che i primi due minuti di un incontro (alcuni sostengono addirittura 20-30 secondi) condizionano le emozioni, i pensieri e il giudizio che ognuno di noi si fa dell’altro.

La cosa più interessante è che tale giudizio, in genere tende a persistere, perché il nostro cervello, lavorando in economia, cercherà continue conferme su quella prima impressione.

La forza delle aspettative che abbiamo nei confronti di un’altra persona è tale da influenzare già da sola il suo comportamento.

Quando conosciamo per la prima vola una persona, ci facciamo subito un’idea su che tipo sia, e questa prima impressione si mostra molto tenace alle disconferme.

È possibile in seguito che veniamo a conoscenza di alcuni fatti o elementi che mettono in discussione l’effetto del primo impatto, in questo caso se siamo persone di mentalità aperta e privi di pregiudizi è possibile che cambiamo il nostro punto di vista, altrimenti tenderemo ad ignorare i nuovi elementi sopraggiunti e persisteremo sulla prima impressione.

L’abito non fa il monaco, però influenza la prima impressione, non è un caso che un importante assioma nella comunicazione dice:

 

“Non hai mai una seconda occasione, per dare una buona prima impressione”

 

È possibile cambiare quel che l’altro pensa dopo una presentazione orribile?

Sì, ma non è semplice né diretto, e richiede un bel po’ di fatica, quindi è di gran lunga meglio evitare di doverlo fare, e invece puntare molto sul primo impatto.

 

Possiamo quindi dire che una nostra immagine inizia a prender forma nella mente del nostro interlocutore ancor prima che parliamo, perché, anche se in modo inconsapevole, una prima impressione positiva o negativa ci ha già presentati.

Questa prima impressione è comunque il frutto di un’emozione, ma quali emozioni possiamo far suscitare nei nostri ascoltatori?

Dobbiamo provocare emozioni specifiche per ogni individuo?
E se sì, quante sono queste emozioni e su cosa si devono basare?

comunicazione non verbale
Foto di Aarón Blanco Tejedor su Unsplash

 

Cominceremo con il più usato gesto, in occidente, usato per presentarsi: darsi la mano.

Anche se, in teoria, tutti sanno dare la mano, ti sarai già reso conto che ognuno ha il suo modo specifico, derivato dalla propria educazione e in parte dall’esperienza maturata.

C’è chi è più deciso, chi molto pacato, chi sembra non volerlo fare, e così via.

L’origine si fa risalire agli antichi Etruschi, e da lì poi adottato dai Romani, e pare che avesse uno scopo molto poco amichevole, ovvero si cominciò a dare la mano quando ci si incontrava la sera, per stabilire se l’altro, approfittando delle tenebre, fosse armato.

Non proprio lo “spirito giusto”, diremmo oggi, per cominciare a conoscere qualcuno.
Immagina se oggi facessimo la stessa cosa: incontrando qualcuno dovremmo prima di tutto frugargli le tasche alla ricerca di eventuali coltelli.

Poco carino, a dire il vero…

Nei secoli il gesto s’è sempre più evoluto, al punto che, negli ultimi centinaia d’anni, soprattutto tra persone di alto rango, era l’unico contatto concesso tra uomini.

Essendo quindi l’unico modo di poter toccare l’altro, gli uomini sono più indirizzati, sin da piccoli, delle donne nella stretta di mano, tant’è che ne hanno diverse variabili a seconda delle culture.

Le donne invece sono sempre più estroverse, e tendono a salutare le amiche o le conoscenti in altro modo, scambiandosi baci, abbracci o altri contatti secondo il Paese d’origine.

Negli ultimi tempi, anche le donne – purtroppo per loro – hanno adottato il saluto con la stretta di mano, essendo entrate nel mondo del lavoro e pari agli uomini.

Ora, ecco la notizia negativa: essendo tale gesto simbolo di virilità e decisione, molti uomini applicano alla stretta quella che userebbero per stringere una tenaglia che deve smollare un bullone da carrarmato, e ciò, abbinato alla più forte presa maschile e alle dimensioni delle mani degli uomini (più grosse e robuste, in proporzione, di quelle femminili) il risultato è doloroso e inutile.

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N.B.: se sei un uomo, soprattutto.
Indovina un po’, quanto risulterai simpatico a una donna se le spiaccichi le dita al primo secondo di conversazione?
Esatto.
È bene correggersi, dunque!
Posso dirtelo con assoluta certezza: una presa amichevole non mette in dubbio la tua mascolinità e accresce la tua simpatia.

 

Al lato opposto, molte donne presentano la mano come un atto obbligato, lasciandola tra il quasi morto e l’appena decente, quasi avessero paura di farlo.

N.B.: se sei una donna.
Sappi che è molto poco piacevole ricevere una mano che sembra aver schifo di toccarti.

Le altre mani non sono fatte di fango, né di vetro, quindi stringile come se volessi farlo.

E adesso ti presento tutte le strette di mano, dividendole in negative e positive, e dimostrandoti come, da una semplice stretta, si può intuire molto più di quanto può sembrare in un primo istante.

 

Psicologia della stretta di mano

A seconda di come è data, la mano esprime dominanza, sottomissione, uguaglianza, timidezza, sicurezza, virilità, prepotenza.
Puoi quindi stabilire con chi hai a che fare – e comportarti di conseguenza – con qualcuno, da una semplice stretta.

Iniziamo con la presa che dovrebbe essere più comune, ma che di fatto non lo è:

stretta di uguaglianza

La presa è diretta, la forza applicata uguale a quella ricevuta, il tempo è di circa 3 secondi.
Ecco come dare la perfetta stretta di mano: prima cosa, se sei emozionato per qualsiasi motivo (può capitare) è bene asciugarsi i palmi.
Le mani non sudano per il calore, a meno che ci siano oltre i 40 gradi.

Questo perché la presa deve risultare salda in condizioni normali. Immagina se ti sudassero le mani come il resto del corpo, al volante ci sarebbero migliaia di scontri per tutta l’estate!
L’emozione invece, in particolare la timidezza, può far sudare molto i palmi, e a pochi piace stringere una mano umida.

La cosa migliore da fare è posizionare la mano nella stessa direzione e verso dell’altra.

Avvicinarsi di un passo, onde poter stringere la mano nel modo corretto.
Se hai a che fare con un superiore e vuoi dimostrargli rispetto, è utile un accenno con la testa, come se stessi annuendo (una volta sola, non devi annuire per davvero).

Stringi a seconda ti quanto ti stringono, senza esagerare mai!
Se sei una donna e stai stringendo la mano di un uomo non cercare di imporre forza per farti rispettare, risulti più che altro aggressiva, non dominante.
Se sei un uomo, evita a tutti i costi di stringere.
Si dice “stringiamoci le mani” perché è ciò che più si assomiglia all’idea, come gesto, ma ciò non vuol dire che devi usare tutta la forza che hai!

Nella maggior parte dei casi, un sorriso è utile, ma non sempre.

Se sei una donna, ricorda che gli uomini sorridono molto poco in situazioni formali di lavoro, e giudicano sciocco chi lo fa.
Il sorriso è auspicato in caso di pari grado, in rapporti informali, se stai presentando un prodotto o proponendo qualcosa.
Dopo aver stretto, ritraiti di un passo.

Dominanza

Quando abbiamo a che fare con qualcuno che usa questa presa, è bene fare attenzione.
Chi la utilizza ha una certa idea di sé e degli altri, e lo esprime nel modo in cui offre la mano.

Esistono diverse prese con questo scopo: a palmo basso, doppia, energica.
Si può reagire in molti modi a tali strette, ma considera cosa vuole esprimere l’altro prima di fare qualsiasi cosa.
Se è un tuo superiore, può essere utile lasciargli fare la stretta come vuole e dimostrargli così sottomissione e rispetto.
Se invece abbiamo a che fare con un sottoposto o un pari grado con istinto prepotente, potrebbe essere meglio fargli capire che non ci sta bene il suo atteggiamento.

È del tutto inutile dirglielo o cercare di farglielo capire, perché è una cosa che fa per istinto e non per volontà, e quasi sempre è del tutto inconsapevole di dare quest’impressione.

Cominciamo da quella con il palmo rivolto verso il basso.
Questo segno, nella nostra specie, è sempre indice di controllo e comando.
Quando il genitore picchia il figlio disubbidiente, lo fa con il palmo, quindi al figlio appare sempre il palmo verso il basso.
Per questo, i popoli più aggressivi, o le varie dittature nella storia, utilizzavano tale saluto, militare e minaccioso.
Come tutti i gesti istintivi, la stretta a palmo in basso non si fa con una precisa idea politica, ma con l’intento, molto più universale e antico, di dominare sull’altro.

 

Come agire sulla sua stretta, e rimetterla “in pari”?

Possiamo prima di tutto fare un passo in avanti con il piede opposto e un piccolo passo verso la mano tesa.
Quasi sempre, siccome si tende a dare la destra, il primo passo è con la destra, e il secondo, più piccolo, con la sinistra.

In questo modo, l’altro si trova costretto a ritrarre un poco il braccio, e così facendo rimetterà la mano “in piano”.

Approfittare dell’attimo per andare a stringere la mano, che così è in posizione paritaria.

Il limite di questo sistema è che dobbiamo avvicinarci molto all’altro, e potrebbe essere poco gradito (specie con alcuni popoli, vedi capitolo sugli stranieri).

Se invece oramai è fatta, possiamo rimetterla diritta con una doppia presa sulla sua: a questo punto si troverà sottomesso, però, quindi attenzione a chi la stai facendo per non irritarlo. Un dominante non accetta con gioia di passare per sottomesso.

 

 

Doppia presa

Ci sono molte forme di doppia presa, con essa intendiamo che tutte e due le mani sono impiegate nella stretta.

La più comune, che abbiamo già visto  è usata soprattutto dai politici, o da chi vuole esprimere simpatia e cordialità – ma finisce per dare un messaggio opposto, perché ci fa sentire un po’ “in trappola”, come se ci abbracciasse all’improvviso.

Poi c’è la presa con mano sul braccio e sulla spalla .
Queste due hanno il senso di controllare e comandare, e di solito la fa solo chi conta di più tra i due, per esempio il capo che saluta un suo dipendente.

La più forte tra tutte è quella che si fa quando l’altro è seduto e gli si impedisce di alzarsi, tenendogli una mano sulla spalla.

Anche se sembra una gentilezza, in effetti impedisce a chi è giù di potersi alzare, e così facendo appare più piccolo e insignificante.
Per ristabilire la parità, puoi fare anche tu la doppia presa sull’altro, ricalcando lo schema o prendendogli le mani.

Simile ad essa, ma con senso opposto, è quella di chi è seduto e offre la mano verso l’alto ma non si sogna di alzarsi. In questo modo vuole dimostrare che non ha motivo o bisogno di farlo, e così facendo ribadisce il suo potere.

 

Sottomissione

In questa categoria ricadono le prese opposte, fatte cioè da chi vuole apparire (e si sente) inferiore all’altro.
Ci sono diverse prese anche in questo caso, e in genere sono il riflesso opposto di quelle di dominio: la presa a palmo in alto, la presa debole, la presa sulle dita, la presa esitante, la presa con inchino.
Il palmo in alto è un segno di resa, di accettazione, di tentativo di pace, ed è universale: in ogni parte del mondo, per indicare amicizia e pace si fa d’istinto il gesto di mostrare il palmo.

La presa debole è data da chi ha paura di usare troppa forza.
A volte è frutto di un’educazione in questo senso.
Magari da piccoli si tendeva a dare la mano in modo energico e i genitori hanno corretto questa tendenza.

Altre volte invece è un segno di debolezza, non tanto fisica quanto mentale: si evita di dimostrare forza e carattere, in modo da far capire di essere sottomessi.

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